AKKA Project introduce una dimensione innovativa all’esperienza della Galleria, offrendo una vivace vetrina di arte contemporanea unica proveniente dall’Africa e iniziative culturali sia a Dubai che a Venezia. Come galleria commerciale e spazio progettuale, AKKA Project si dedica alla promozione e al supporto di artisti di origine africana. Le sedi di Dubai, Venezia e Lugano spazi intimi, attentamente curati per accogliere una gamma diversificata di mezzi espressivi. Ogni opera e progetto presentato riflette un viaggio personale, racchiudendo le esperienze uniche vissute durante l’esplorazione del variegato panorama artistico africano. Nell’impegno di AKKA Project c’è di nutrire e valorizzare il processo creativo degli artisti; AKKA Project organizza residenze artistiche a Venezia, con un’attenzione particolare agli artisti emergenti e di medio corso. Amiamo la libertà offerta dagli spazi della galleria, che ci consente di ridefinire il concetto di “galleria” sia artisticamente che concettualmente, fungendo anche da catalizzatore per il cambiamento all’interno della comunità più ampia. Oltre alle mostre pianificate e curate, AKKA Project facilita presentazioni ed esposizioni tenute da docenti ospiti, artisti esterni, curatori ospiti e istituzioni partner. Ecco la selezione degli artisti scelti da AKKA Project per la Boutique Fair of Arts YouNique 2025: REINATA SADIMBA
Nata nel 1945 a Homba, nella provincia di Cabo Delgado, Mozambico, Reinata Sadimba ha affrontato sfide precoci dopo essere rimasta orfana del padre. Nonostante abbia vissuto un breve matrimonio combinato in giovane età, che ha portato alla nascita di tre figli, Reinata, figlia di contadini, ha ricevuto un’educazione tradizionale Maconde, specializzandosi nella creazione di oggetti utilitari in argilla. Successivamente, si è sposata una seconda volta e ha avuto altri figli, ma la guerra di liberazione e i primi anni dell’indipendenza del Mozambico hanno portato a gravi perdite: sette figli e la fine del suo secondo matrimonio. Vivendo a Nimo, un villaggio sull’altopiano di Mueda, culla dell’etnia Maconde, l’originalità e l’indipendenza di Reinata in un piccolo villaggio hanno causato incomprensioni. Tradizionalmente, la ceramica era un mestiere esclusivamente femminile, ma Reinata ha trasformato i vasi in figure antropomorfe, sfidando i ruoli di genere e ridefinendo il ruolo del ceramista come artista. Nel 1985, affrontando difficoltà con il suo giovane figlio, si è trasferita a Dar es Salaam, dove ha tenuto la sua prima mostra personale nel 1990 alla Nyyumba Ya Sanaa Gallery. Nel 1992, dopo la guerra in Mozambico, si è stabilita a Maputo, utilizzando lo spazio del Museo di Storia Naturale come suo studio. Riconosciuta come una delle artiste femminili più importanti dell’Africa, Reinata ha ricevuto numerosi premi. Le sue opere sono esposte in istituzioni di tutto il mondo, tra cui il Museo Nazionale del Mozambico, il Museo di Etnologia di Lisbona, la sede delle Nazioni Unite a New York e la collezione di arte moderna di Culturgest. Mostre personali e collettive hanno presentato la sua arte in Mozambico, Portogallo, Svizzera, Tanzania, Sud Africa, Danimarca, Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti. PAMELA ENYONU Pamela Enyonu, nata nel 1985 a Kampala, Uganda, dove attualmente vive e lavora, ha studiato Arte e Design presso la Kyambogo University Banda di Kampala, Uganda. La sua carriera artistica è iniziata nel 2017 con una residenza di tre mesi presso 32 Degrees East, durante la quale ha esplorato le politiche dell’identità, il trauma e la guarigione. Al termine della residenza, è stata invitata a presentare una mostra personale nel giugno 2017 e da allora ha partecipato a numerose esposizioni personali e collettive. Lo stile di Pamela è ispirato a storie che trattano le esperienze delle donne ugandesi; utilizza materiali diversi ed è particolarmente interessata al processo di trasformazione di questi in opere d’arte. Le sue creazioni hanno una qualità tattile e tridimensionale, con texture riccamente stratificate che esplorano narrazioni legate al genere, all’identità, all’empowerment e alla consapevolezza di sé. Pamela è particolarmente attratta dalle esperienze “non tokenizzate” che si collocano all’intersezione tra empowerment, salute mentale e identità. Due anni dopo aver partecipato alla residenza per Africa 2020 a Parigi, Francia, nel 2022 è stata selezionata per partecipare al Programma di Residenza Artistica AKKA Project a Venezia, Italia, e a Pro Helvetia a Zurigo, Svizzera. Continua a interagire con diverse comunità attraverso collaborazioni, workshop e seminari. Le parole dell’artista: «Torno spesso alle pratiche artigianali di tessitura, intreccio, treccia, stampa, ecc., per colmare eventuali lacune. Questo rafforza le relazioni che condivido con i miei soggetti, inserendo un frammento della mia storia in ogni opera». OSARU OBASEKI Osaru Obaseki, nata nel 1993 nello Stato di Edo, Nigeria, è una forza emergente nel panorama dell’arte visiva multidisciplinare. Vivendo nel cuore del continente africano, Osaru si è intrecciata profondamente nel tessuto dell’arte contemporanea, avviando il suo percorso professionale nel 2017. Attualmente, lavora tra Benin City e Lagos. Le sue esplorazioni artistiche si concentrano su temi come la materialità, la storia, l’identità culturale, le dinamiche sociali e le complessità delle narrazioni coloniali e post-coloniali. Con un approccio unico, Osaru unisce sabbia e acrilici, fondendo due epoche distinte: l’antico e il moderno. Inoltre, il suo repertorio artistico include la fusione del bronzo, una tecnica antica che rielabora in forme contemporanee innovative, richiamando l’eredità storica di questa tradizione. Diplomata al prestigioso ITP-International Training Programme in collaborazione con il British Museum, Osaru Obaseki è anche membro del British Art Network. Le sue opere sono state esposte in importanti istituzioni come Rele Gallery, Saboart Advisory, Amar Singh Gallery ed Eclectica Gallery, tra le altre. Tra i suoi traguardi, spicca la partecipazione nel 2019 alla mostra Re-entanglement, un progetto collaborativo con l’Università di Cambridge, il Museum of Archaeology and Anthropology di Londra, Regno Unito, e Nosona Studios, Benin City, Nigeria. La sua passione si estende anche al sostegno della comunità artistica: Osaru è stata parte integrante del workshop Back to Base, un’iniziativa collaborativa tra il Goethe-Institut e la Rele Arts Foundation, a Lagos, Nigeria. Il suo impatto nel mondo dell’arte ha attirato l’attenzione di importanti media e documentari, tra cui il New York Times, BBC, Document Women, DW Documentary e l’emittente franco-tedesca ARTE. GONÇALO MABUNDA Gonçalo Mabunda, nato nel 1975 a Maputo, Mozambico, è un artista che trasforma le armi di guerra in simboli di resilienza e creatività. Vivendo e lavorando a Maputo, Mabunda è profondamente legato alla memoria collettiva del Mozambico, un paese che ha vissuto una devastante guerra civile durata 16 anni e terminata nel 1992. La sua pratica artistica consiste nel riutilizzare armi disattivate—AK-47, lanciarazzi, pistole e altri strumenti di distruzione—per creare sculture con forme antropomorfe e troni che riflettono la condizione umana e le strutture di potere sociale. Il lavoro di Mabunda richiama un’estetica modernista, spesso paragonata alle opere di Braque e Picasso. Le armi trasformate portano con sé forti implicazioni politiche, ma rappresentano anche una riflessione positiva sul potere trasformativo dell’arte e sulla resilienza delle società africane di fronte alle avversità. I suoi troni, in particolare, sono simboli di potere, eredità tribale e forme d’arte tradizionale africana, offrendo al contempo una critica ironica alle esperienze di violenza vissute durante la sua infanzia e agli effetti isolanti della guerra civile. Ha ottenuto riconoscimenti internazionali, partecipando a importanti esposizioni come All the World’s Futures alla Biennale di Venezia 2015 e rappresentando il Mozambico alla Biennale di Venezia 2019. Le opere di Mabunda sono state esposte in numerose mostre personali e collettive in tutto il mondo e fanno parte di prestigiose collezioni pubbliche e private. GABRELWA WORKU Il lavoro di Gabrelwa Worku si concentra sull’esplorazione dei valori, in particolare in relazione all’abbigliamento. È affascinata dal peso che viene dato ai vestiti e al valore che essi rappresentano. In passato era molto attenta alle reazioni degli altri rispetto al suo aspetto: si preoccupavo costantemente di essere vestita nel modo giusto per essere accettata dai suoi amici e dalla sua comunità. Per questo motivo, spendeva una grande quantità di denaro in vestiti, convinta che ciò le avrebbe garantito un riconoscimento sociale. «Come essere umano, desidero che le mie idee e i miei pensieri abbiano più valore del tessuto che ricopre il mio corpo», le sue parole. Questo è ciò che cerca di esprimere attraverso il suo lavoro artistico: riunisce colori, materiali e dimensioni diverse per creare equilibrio. Utilizza tessuti dai colori vivaci e audaci come punti focali, simboli di un materiale a cui viene dato più valore rispetto alla persona che lo indossa. Sceglie di raccogliere e utilizzare scampoli di tessuti di vario tipo perché sono materiali scartati, dimenticati e ignorati, proprio come spesso accade al corpo umano, privo di riconoscimento e valore. Trasforma questi tessuti tingendoli, creando texture e, a volte, bruciandoli, per tradurre le sue idee in opere d’arte. Usa anche la tecnica del cucito, che simboleggia il rammendo, la riparazione e la ricostruzione. FILIPE BRANQUINHO Filipe Branquinho è nato nel 1977 in Mozambico e attualmente vive e lavora tra Maputo (Mozambico), San José (Costa Rica) e Madrid (Spagna). Branquinho è un artista poliedrico: ha studiato architettura e ha intrapreso una carriera parallela come fotografo e illustratore. Cresciuto in un ambiente strettamente connesso alle sfere giornalistiche e artistiche di Maputo, l’estetica di Branquinho unisce la familiarità con l’architettura e la “scuola” della fotografia mozambicana. Cresciuto tra grandi nomi come Ricardo Rangel, Kok Nam e José Cabral, Filipe fonde generi come il ritratto e il paesaggio, proponendo una riflessione su temi sociali legati alla realtà contemporanea del Mozambico, ai suoi costumi, miti e dinamiche urbane. Attualmente lavora a una serie intitolata “Lipiko”, in cui utilizza le maschere Mapiko della tradizione Maconde, combinando disegno e fotografia con un forte senso di satira per proporre una riflessione sugli aspetti e i valori degli affari nazionali contemporanei. Le opere di Branquinho sono state selezionate per numerose mostre collettive e personali in Mozambico, Brasile, Portogallo e Sud Africa. Filipe è stato uno degli artisti selezionati per rappresentare il Mozambico alla Biennale di Venezia del 2019.AKKA PROJECT
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